Gian Luca Marozza

07 settembre 2016



 
Roma, Via Prenestina,

civico 913: è un sabato pomeriggio torrido. Parcheggio dopo mille manovre, tra la giungla di centri commerciali e negozi sportivi, magazzini e rotonde di illuminati urbanisti, in uno slalom tra barriere architettoniche più o meno temporanee (sono già installazioni di street artist? La vita di tutti i giorni mi ha inaridito a tal punto da non riconoscerle? Non credo … purtroppo).
Svetta una torre in mattoni, con l’aggiunta di un telescopio: è l’opera di Gian Maria Tosatti e mi diranno poi che i bidoni sono stati trasportati lassù non senza sudore e pericolo … ma andiamo con ordine ….
Come un faro nella sventrata periferia romana, la torre dell’ex fabbrica della Fiorucci è la nuova torre di Babele che protegge la comunità meticcia e multicolore che qui vive di arte e di sgomberi: le lingue sono realmente tante, peruviani, ucraini, tunisini, rumeni, rom.
Dunque, nome e cognome recitano “ex stabilimento del salumificio Fiorucci”, periferia est di Roma Capitale … almeno sino al marzo del 2009 quando il luogo assume il suo nome d’arte, il MAAM.
Ad accogliermi nel mio primo viaggio è Alessandro, mio compagno di liceo e di tanti pomeriggi e serate stream of consciousness ON quella sera invece di scavalcare come sempre ai Fori Imperiali entriamo nel prato sotto l’arco di Costantino…io alessandro e francesco ed un pallone…mentre io e Francesco giochiamo Alessandro vede una volante della Polizia…a regà che dovemo da fa’….alessandro dice…no ci è caduto dentro il pallone lo stanno riprendendo e poi escono subito…e io da dentro il prato: vai CROSSAAAAAAAAAA!!!!
Stream of consciousness OFF.
Oggi Alessandro è bioarchitetto e collabora all’esperienza del Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropolix: ci  guida all’interno della struttura, dall’anima industriale, ma abitata dal 2012 da forse 150 persone che allora l’occuparono. 

E’ un po’ il terzo ed alternativo museo di arte contemporanea romano, con differenze sostanziali con MAXXI e col MACRO, per la mancanza di fondi, ma con analogie interessanti (anche qui la purezza dell’arte è chiamata a cancellare l’odore del sangue, come al mattatoio).
Regno della street art, ma non solo, della cultura multietnica, ma non solo, nata come esperienza di occupazione ma superata dalla visione di Giorgio De Finis, antropologo e regista e tra le altre mille cose direttore di FART (i fogli della Fabbrica dell’ARTE, che è anche una sorta di titolo che campeggia sopra l’ingresso dipinto da Alessandro, De Sanctis, con una rappresentazione delle stagioni).

Proseguiamo incerti tra luce e buio: alcune opere ricordano la destinazione originaria … siamo nel silenzio della cappella porcina di ORQUIN-MESA, ma sentiamo ancora lo stridere dell’impianto che scuoiava i maiali. Anche qui l’arte restituisce la speranza della vita ai suini destinati al macello, che infine spiccano il volo; superiamo qualche ostacolo di recupero … la cosa si fa interessante … mi coglie la golosità del primo visitatore ed inizio a fare troppe domande rischiando l’indigestione.
Dallo spagnolo Borondo che ha illustrato le pareti esterne allo yemenita Aladin, da Diamond a Solo, i cui supereroi hanno preso ormai il largo nei cieli del globo, arriviamo alle accattivanti grafiche di Mr. Klevra, agli interni arricchiti da Lucamaleonte, il maestro dello stencil, Nicola Nic Alessandrini e le sue creature fantastiche. Cammino ancora ed incontro l’incredibile ritratto di Mauro Magliani, che ha realizzato la sua opera con i tratti di una Bic!

Dietro una porta un esercito di terracotta moderno, che non è di terracotta ma neanche così legato alle due dimensioni, di Stefania Fabrizi mi ricorda che qui occorre presidiare lo spazio,  interno ed esterno, quello spazio al quale tendono gli alberi antropomorfi di Mauro Sgarbi.

Si fa sera, compare la luna, quella reale, non quella di Massimo De Giovanni che fa capolino fra le travi del cortile, non quella ideale al centro del progetto cinematografico iniziale, la luna come desiderio irraggiungibile ma raggiunto, chiedere la luna … come chiedere una casa … e raggiungerla magari con un razzo, come è successo in questo mondo parallelo e fantastico che è il MAAM, dove del resto campeggia la scritta NIHIL DIFFICILE VOLENTI.

 (si ringrazia per le foto Maria Pia Accoto)